giovedì 4 novembre 2010

Così parlò Mantovano

Pubblichiamo di seguito l'audio, il video e il testo integrale dell'intervento dell'onorevole Alfredo Mantovano, Sottosegretario del Ministero dell'Interno, intervenuto ieri 3 novembre 2010 a Rieti al convegno "Dall'agenda della speranza ad un cammino di speranza per il futuro del nostro Paese: lavoro e immigrazione" organizzato dall'Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro (giustizia, pace, custodia del creato) di Rieti a conclusione della 46a Settimana Sociale dei cattolici italiani.




Nel suo intervento, l'on. Mantovano ha profilato un modello italiano di integrazione che si va definendo, nonostante una lamentata scarsa attenzione da parte delle istituzioni europee e della stampa nazionale sugli sforzi che il Governo sta compiendo nel campo dell'immigrazione. Non oscillando tra gli estremi della xenofobia e dell'immigrazionismo, ha cercato di contestare alcuni luoghi comuni sull'immigrazione (che sia un problema di scarsa rilevanza, che dovremmo accogliere tutti, che non possiamo fare a meno dei lavoratori immigrati, che dovremmo ricordarci del passato dell'emigrazione italiana). Mantovano ha poi sottolineato la necessità di accelerare i tempi per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno. Con orgoglio ha infine parlato del lavoro che sta portando avanti il Comitato per l'Islam italiano (su temi come il burqa, il diritto di famiglia, lo statuto di imam e moschee). Mantovano ha concluso sottolineando come l'immigrazione ponga a rischio le società che non riescono a mantenere in modo chiaro e deciso la propria identità.
Non è però mancata nelle parole di Mantovano una certa rigidità e diffidenza: la convinzione che se il flusso migratorio continuerà a crescere con i ritmi attuali l'integrazione sarà impossibile; la sfiducia nella possibilità di includere nella società italiana i migranti di fede religiosa diversa da quella cristiana; e la sensazione che i migranti vengano in Italia per accumulare tesori quali l'istruzione, la professionalità e i risparmi, tesori che poi vengono portati via dall'Italia e spesi nei paesi d'origine.

Audio integrale dell'intervento del Sottosegretario del Ministero dell'Interno Alfredo Mantovano
Clicca qui per scaricare e ascoltare l'audio integrale dell'intervento dell'onorevole Alfredo Mantovano Sottosegretario del Ministero dell'Interno.

Testo integrale dell'intervento del Sottosegretario del Ministero dell'interno Alfredo Mantovano

L'immigrazione ha tanti profili per noi problematici, alcuni fondati, altri enfatizzati, altri inventati. Ma anche sul fronte dell'immigrazione dovremmo apprezzare di più gli sforzi che forse in modo disorganico, disarticolato tra istituzioni, si sta facendo in Italia per quello che potrebbe essere definito il modello italiano di integrazione, un modello che si sta costruendo in questi anni, perché da noi l'immigrazione è una realtà relativamente recente, a differenza di paesi come il  Regno Unito e la Francia che hanno un passato coloniale che certo in epoche remote veniva trattato in modo completamente diverso ma che comunque costringeva ad avere rapporti reciproci con comunità differenti per tradizioni e per identità. Noi stiamo facendo i conti con l'immigrazione forse da 20 anni che è un periodo brevissimo, forse non in sé, ma certamente per comparazione.

Il termine che ho ascoltato e sono contento di averlo ascoltato di più nelle due relazioni che hanno preceduto questo mio intervento, è stato il termine realismo. Il realismo è imposto a tutti, ma è imposto in modo particolare ai cristiani. E proprio per essere più possibile realista io vorrei partire dall'Enciclica Caritas in veritate la quale a proposito dell'immigrazione fa presenti 3 punti nodali:
  1. i diritti delle persone delle famiglie emigrate, ciò significa che il migrante va trattato come una persona e non come una merce.
  2. i diritti delle società nelle quali arrivano gli emigrati intesi non con riferimento soltanto alla sicurezza, ma anche all'identità e all'integrità nazionale;
  3. i diritti delle società di partenza degli emigrati per evitare un depauperamento che impedisca di bloccare quell'iniziale sviluppo che pure si coglie qua e là.
Questi 3 profili sono contestati da due tendenze che sono anzitutto culturali, ma poi anche politiche e operative, che potremmo definire sinteticamente xenofobia da un lato immigrazionismo dall'altro.
  • La xenofobia non consiste soltanto nel considerare l'immigrato un essere inferiore, questa è la forma più spinta, grazie a Dio non si trova quasi più, ma consiste anche nel considerare l'immigrato soprattutto come una merce.
  • L'immigrazionismo però non è una tendenza positiva, perché è quell'orientamento che porta a considerare l'immigrazione come un fenomeno sempre e in ogni sua dimensione positivo e quindi da assecondare senza particolari remore e senza particolari regole.
Per essere realisti e quindi evitare di incagliarci nelle secche o della xenofobia da un alto o dell'immigrazionismo dall'altro per cercare anche di rispondere ai quesiti concreti (la cittadinanza, il voto) forse dovremmo liberarci di un po' di luoghi comuni che impediscono un approccio realistico alla materia.
  1. Si dice: "Ma perché si dà tanto peso a questo tema? Tutto sommato gli immigrati sono una minoranza e in quanto tale governabile, sono così in Italia, ancor di più in Europa rispetto a 500 milioni di abitanti del continente europeo gli immigrati sono non più di 50 milioni". GIà questa proporzione non è che sia proprio minimale. Ma il limite di questo luogo comune è quello di guardare all'immigrazione come se fosse un album di fotografie e non un film, perché se si ha presente l'album di fotografie l'immagine tutto sommato è statica  , potremmo anche mettere il fermo immagine al 2010 e consolarci. Ma se guardiamo al filmato e lo limitiamo soltanto alla realtà italiana, ma una dinamica simile si ha in tanti altri paesi europei, dovremmo riflettere sulla circostanza che oggi gli immigrati in Italia sono circa 4,5 milioni inclusi anche coloro che venivano ritenuti extracomunitari fino a qualche anno fa e che adesso, penso ai Rumeni, in virtù dei nuovi ingressi in Unione Europea non vengono più calcolati come tali. Al netto dei Neocomunitari diciamo che gli stranieri in senso proprio sono 2 milioni e 800 mila, però usare questa cifra è non comprendere la realtà, quindi diciamo 4,5 milioni abbondanti. Nel 1990 erano 550 mila circa quindi c'è stata una moltiplicazione per 10 in 20 anni e il trend non si sta bloccando. Se il trend resta quello degli ultimi 20 anni, gli extracomunitari regolari nel 2030 saranno 12 milioni, nel 2050 20 milioni al netto di qualsiasi considerazione di carattere etico, senza scomodare categorie di ordine morale, con questi numeri l'integrazione è impossibile.
  2. Si dice: "Noi che siamo ancora un popolo ricco, l'Occidente gli Europei, abbiamo il dovere etico di accogliere tutti coloro che bussano alla nostra porta". Io vorrei fare una distinzione, certamente popoli liberi hanno il dovere etico, magari distribuendolo non facendolo cadere soltanto su un paese,  di accogliere coloro che fuggono da persecuzione. E da questo punto di vista l'Italia non è seconda a nessuno perché ha organizzato un sistema di asilo che intanto funziona, è celere, potrebbe essere più celere sicuramente, rispetto agli altri paesi europei è molto più celere. A fronte di un'unica Commissione che esaminava le domande d'asilo fino a qualche anno fa, oggi ce ne sono 15 con la presenza dei rappresentanti dell'Acnur (Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati) e degli enti territoriali, e con un sistema poi di assorbimento dei richiedenti asilo, ed è paradossale che ogni tanto qualcuno sia all'interno dell'Onu che dell'Unione Europea lanci degli strali nei confronti dell'Italia ricevendo ovviamente eco nei media locali anche di quelli che si vendono nelle Chiese, senza fare nessun riferimento a famiglie più o meno cristiane. è paradossale che l'Italia produca uno sforzo notevolissimo e poi questo sforzo non venga considerato. Ma questo per coloro che sfuggono dalle persecuzioni. Ma c'è un'immigrazione che è dettata da ragioni di carattere economico, di migliorare il proprio tenore di vita, e da questo punto di vista una regolamentazione è indispensabile, non solo, ma se vogliamo muoverci sulla scia del discorso di una valutazione etica, dovremmo chiederci se un ottimo ingegnere o un ottimo medico serva più al Ghana o al Burkina Faso invece che al Regno Unito o alla Francia, parlo del Regno Unito perché come sapete lì in tema di ingresso seleziona molto sulla base delle competenze professionali.
  3. Si dice: "Noi non potremmo vivere, dal punto di vista economico, senza il contributo di lavoro che danno gli immigrati, perché gli immigrati fanno lavori che nessun altro da noi è disponibile a fare". Anche questo forse è vero in questo momento in Italia per le collaborazioni familiari, per il lavoro cosiddetto di badante, che vede massicciamente impegnate alcune lavoratrici provenienti soprattutto da alcuni paesi come l'Ucraina, la Romania e via discorrendo. Ma sappiamo intanto che gli immigrati con il loro lavoro mantengono alcuni settori produttivi che in Italia già sono in crisi, ma è solo questione di tempo, perché il tessile non di qualità anche con l'impiego degli extracomunitari sta comunque scomparendo in virtù della concorrenza massiccia proveniente in modo particolare dalla Cina. Non parlo di contraffazione, parlo di ciò che entra attraverso la liberalizzazione dei mercati. E poi verrebbe da chiedersi se effettivamente un giovane lavoratore italiano non vuole fare un determinato lavoro oppure è poco disponibile a farlo per le condizioni di sotto paga o di nero o di assenza di contributi a cui viene costretto, cosa che invece un extracomunitario magari accetta con maggiore facilità. 
  4. Ancora si fa il parallelo con la nostra esperienza di immigrati per dire che insomma "oggi non dovremmo fare tante storie nei confronti di chi viene da noi avendo alle spalle questa storia". In realtà anche qui ci sono delle differenze: la gran parte degli Italiani che ha attraversato l'Oceano nei decenni passati o è andato verso il Nord dell'Europa normalmente aveva la prospettiva di restare. Tre anni fa l'allora Ministro dell'Interno Amato, quindi cito una fonte non omogenea all'attuale maggioranza, commissionò uno studio sulla propensione a restare in Italia da parte degli immigrati che vi risiedevano regolarmente, il 70% di loro aveva, ha perché le cose non sono cambiate, questa prospettiva di restare in Italia un periodo diciamo attorno ai 10 anni che permetta di mettere da parte un po' di risparmi il cui peso ovviamente è superiore utilizzandoli al rientro nel Paese d'origine, di acquisire una professionalità o un mestiere, magari di mandare i figli nelle nostre scuole che saranno scalcinate ma comunque sono forse mediamente migliori rispetto a quelle nei paesi d'origine, e dopo questo periodo di mettere insieme questo patrimonio materiale e culturale acquisito e di tornare nel paese di provenienza. Il 70% non il 7%, il 70%, questo dovrebbe forse essere tenuto in considerazione per orientare le scelte relative alla cittadinanza. Altro elemento di realtà è l'omogeneità dal punto di vista della religione, ma parlo di questo non da un punto di vista confessionale, ma da un punto di vista laico consapevole che la religione ha un peso sociale e civile importante. I nostri emigranti che andando a Little Italy il 13 giugno organizzavano la processione di Sant'Antonio erano visti benevolmente dalla popolazione di Manhattan perché erano un'omogeneità religiosa, magari uno era protestante l'altro episcopaliano o cattolico, però diciamo un punto di riferimento lontanamente comune c'era, così come tanti immigrati che oggi in varie città italiane animano le feste mariane, provenienti soprattutto dal Sud America, sono visti con molto favore, si parla un linguaggio comune, mi verrebbe da dire da cristiano quando si guarda a Maria veramente ci si consideri tutti fratelli. Non è così però se alla fine delle festività natalizie un gruppo di musulmani si riunisce di fronte al duomo di Milano e inscena non si capisce bene se è una preghiera o qualche altra cosa, visto che vengono bruciate anche le bandiere di paesi come gli Stati Uniti e Israele e che si riunisca di fronte al Duomo di Milano non significa certamente volontà di integrarsi. Quindi attenzione ai confronti con la nostra esperienza di emigranti del passato.
Allora, e concludo, se proviamo a liberarci da questi luoghi comuni, ce ne sono tanti altri, ma questi mi sembrano i più significativi, e cerchiamo di evitare gli scogli della xenofobia e dell'immigrazionismo, forse siamo capaci di comprendere che il modello italiano di integrazione è un modello che non tollera scorciatoie e che deve essere percorso con fatica e senza illusioni.

Noi abbiamo un quadro normativo che prevede una scansione: il permesso di soggiorno, che è il primo strumento di ingresso regolare, che ha una durata come sappiamo di 2 anni rinnovabile; la carta di soggiorno che è qualcosa di molto più impegnativo e che facilita molto di più la vita all'extracomunitario che decide di restare un po' di più da noi; e infine la cittadinanza. 2 anni, 5 anni 10 anni, parlo ovviamente a proposito della cittadinanza come diciamo un periodo minimo per poter formulare la domanda, si dice "ma la cittadinanza è resa difficile", ma anche da questo punto di vista le cifre sono esattamente parallele alle cifre delle presenze di stranieri, perché 20 anni fa le cittadinanze che venivano concesse erano poco meno di 4 mila, quasi tutte per matrimonio, nel 2009 sono state 40 mila e di queste soltanto 15 mila per matrimonio, quindi la maggioranza erano invece per riconoscimento in virtù della permanenza. Dicevo, come si evitano questi estremi? Intanto rendendo la vita più semplice agli immigrati e facendo in modo che la qualità del contatto con le varie amministrazioni che si interessano della loro vita in Italia sia meno formalistica, ci sono dei passi in avanti sia in termini di tempi per ottenere il permesso di soggiorno, il rinnovo, l'assistenza sanitaria e così via, si può fare di più certamente, però più di preoccuparmi dei tempi della cittadinanza, io mi preoccuperei dei tempi per ottenere il permesso di soggiorno, il suo rinnovo e l'assistenza sanitaria.

Dopodiché ci sono degli istituti che devono ancora dare dimostrazione di sé, il Parlamento ne ha approvato qualcuno già da oltre un anno, i Decreti Attuativi sono fermi alla conferenza Stato Regioni, penso per esempio all'Accordo di integrazione, che è stato osteggiato in parlamento dalle opposizioni all'insegna dell'equivalente della patente a punti per l'immigrazione, non è così, non è così perché è invece uno strumento di integrazione effettiva dal momento che incentiva la frequenza dei corsi di lingua, soprattutto di quelli di qualità, la frequenza scolastica, università e varie forme di ingresso a cui corrisponde un punteggio che mediamente è molto più elevato di quello in detrazione che corrisponde invece alla consumazione di reati non particolarmente gravi perché altrimenti c'è il provvedimento di espulsione.
Stiamo anche cercando di affrontare con tutta la prudenza e l'equilibrio necessari, temi che non sono strettamente sovrapponibili a quelli dell'immigrazione, ma sono a loro collegati per esempio quelli della vita nel nostro paese di comunità religiose che presentano dei problemi, parlo di quella islamica in modo particolare. Da qualche mese al Ministero dell'Interno è stato istituito come certamente saprete il Comitato per l'Islam italiano, composto in parte da Islamici, da Musulmani, inseriti là non in quanto rappresentativi di questa o di quella comunità, ma in virtù di un rapporto di stima e di affidabilità, e in parte da studiosi e da docenti di chiara fama in questa materia. Qual è il compito di questo Comitato? è di dare dei pareri al Ministro dell'Interno e per esso al Governo, non di fare accademia, di dare dei pareri sui problemi quotidiani che spesso incidono sulla corretta integrazione. Due pareri sono stati già formulati
  1. uno sul burqa e sul niqab, e questo pare è stato fatto proprio dal Governo e adesso accompagnerà la discussione in Parlamento sui provvedimenti di iniziativa dei Parlamentari in materia;
  2. e uno su un Istituto, la Kafala, molto importante che attiene al diritto familiare e non è la nostra adozione, non è la nostra affiliazione, ma è il modo attraverso il quale nei paesi islamici si cerca comunque di badare a minori che sono abbandonati e la cui introduzione nel nostro ordinamento presenta dei problemi che sono stati affrontati in modo molto dettagliato in questo parere.
  3. All'ordine del giorno adesso del Comitato per l'islam Italiano è lo Statuto dell'Imam e lo Statuto delle Moschee. Anche questo avviene nel totale disinteresse dei media che come vediamo sono itneressati da tutt'altro.
Ora ci sarebbe tanto altro da dire, ma io mi fermo qui, ma una cosa ci tengo a dirla in conclusione, che spesso l'immigrazione è un problema più per quello che dipende da noi che per quello che dipende da coloro che vengono da noi, nel senso che l'immigrazione pone a rischio le società che non riescono a mantenere in modo chiaro e deciso la propria identità, e forse la comunità cristiana da questo punto di vista è particolarmente interpellata, così come le istituzioni europee. Sul punto noi viviamo in un'Europa che ci impedisce di espellere i terroristi, potrei dare dettagli sul punto sulla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, e che ci vuole impedire di tenere i crocifissi nei luoghi pubblici. è complicato mantenere il sistema con istituzioni europee che danno questo tipo di input. Ci sono paesi europei come l'Olanda che saggiano il tasso di integrazione degli extracomunitari mostrando dei filmati in cui si vedono due uomini che si scambiano effusioni. Io credo che non soltanto un fedele dell'Islam, ma un fedele di qualsiasi confessione religiosa si senta mortificato nel vedersi proporre questi pseudo-modelli di integrazione, così come si senta mortificato nel sentirsi invogliato all'aborto come strumento di regolazione della fertilità intra-familiare.

Allora se valgono le regole per chi viene, se vale la necessità di smontare un po' di luoghi comuni, vale soprattutto l'esigenza da parte nostra di ricordarci che abbiamo delle radici delle quali non siamo proprietari, ma siamo semplicemente dei testimoni e dovremmo essere dei testimoni il più possibile credibili. Vi ringrazio.

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